Lo spunto per l’argomento di questa puntata è un articolo di Franco Arturi sulla Gazzetta dello Sport nel quale l’autore racconta la genesi del soprannome di Carl Lewis; era il giugno del1’83, all’indomani della fine dei campionati Americani di atletica nei quali il “figlio del vento” aveva raccolto 3 ori strabilianti nei 100, 200 e salto in lungo. Solo che all’epoca il prodigio di Birmingham era “solo” Frederik Carlton Lewis. Fu quel titolo sulla rosa (“così vola il figlio del vento”; pagina 11 – anche allora veniva prima la serie A, la B, la C, le serie minori, il ciclismo, i motori e poi, se capitava qualcosa di eccezionale, l’atletica o il nuoto) a presentarlo al mondo col nickname che lo avrebbe accompagnato per le piste e gli stadi di tutto il globo.
A trent’anni dal suo conio, il figlio del vento è passato in via Solferino a ringraziare colui che ha contribuito alla nascita del mito. Parliamoci chiaro, Lewis avrebbe vinto 9 ori ai giochi Olimpici e altri 8 ai mondiali anche se si fosse chiamato “Bambi”, ma talvolta i giornalisti, o i tifosi, azzeccano quel nomignolo che da all’atleta l’aura di invincibilità e di mito che è il marchio di fabbrica del campione.
Il calcio è zeppo di esempi del genere; molti dei quali creati dalla mente vulcanica di Gianni Brera, altri da autori ignoti, la maggior parte hanno più rivendicazioni del porto da cui salpò Cristoforo Colombo quando sbagliò strada.
Se sei un tifoso del Napoli (credo che su questo blog ce ne sia qualcuno) nomi come “Matador” o “pipita” sono all’ordine del giorno; a Milano hanno “Super Mario” e il “Faraone”, a Roma “er Pupone”, a Torino “Pinturicchio” e via discorrendo.
Alle volte sono nomignoli che esaltano le caratteristiche fisiche, come nel caso di Ed Jones, difensore di 2,06 dei Dallas Cowboys, soprannominato “too tall” (troppo alto), al conrtrario di Galderisi che era bonariamente chiamato “Nanu”. Pochi conoscono William Perry dei Chicago Bears, ma molti lo ricordano come il “frigorifero” (nick piuttosto azzeccato visto che il ragazzo era 1,88 per 152 Kg !). Di stazza fisica completamente opposta era Alessandro “spillo” Altobelli.
Alle volte i soprannomi sono legati al carattere, come nel caso di “ringhio” Gattuso o di Walter Payton, che per i suoi modi gentili era chiamato “sweetness”, dolcezza. Proprio come Dennis Rodman dei Chicago Bulls, il cui caratterino docile lo ha fatto conoscere nell’ambiente del basket col nome di “verme”.
Nella boxe i soprannomi si sprecano e sono tutti truculenti; non avrebbe molto senso in effetti chiamarsi “Camomillo” se devi salire sul ring contro “King Kong” Tyson.
In ogni caso il soprannome sopravvive a colui che lo ha creato e talvolta anche alla persona che lo porta, come i simboli iconografici delle statue dei Santi che li facevano riconoscere a tutti, quando ancora il Latino era per pochi.
Questi nomignoli, dal “Barone” al “Soldatino”, rimangono ad imperitura memoria nella mente dei tifosi che li acclamano quando giocano e li ricordano anche quando smettono di farlo, e credo che l’essere ricordato sia, non solo per un atleta, il primo passo per l’immortalità.
Giuseppe“Full” Fiorito, grande appassionato di sport a stelle e strisce e telecronista per hobby, ha frequentato l’Isef della Lombardia e giocato a Football Americano