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Il sociologo Domenico De Masi, nel suo recente libro “TAG. Le parole del tempo” ha dedicato un intero capitolo alla città di Napoli decostruendo in modo sistematico la creatività dei napoletani sottolineando la quasi totale mancanza di concretezza. In un estratto del testo leggiamo infatti: “La pizza, con tutte le canzoni, i film, gli stereotipi, ha creato nel napoletano l’autoconvinzione che i napoletani siano creativi. Così mentre il resto del mondo inventava la plastica e i microprocessori, la pila atomica e i satelliti artificiali, le biotecnologie e i raggi laser, a Napoli insistevano con questa benedetta pizza e con le sue scontate varianti. La fantasia se non si sposa con il concreto non è creativa. Ma nel paese del sole e del mare la fantasia è rimasta nubile”.

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L’Associazione culturale Vivoanapoli, da sempre attenta alle tematiche di particolare rilevanza sociale, ha raccolto la provocazione del professor De Masi organizzando un dibattito costruttivo con lo scrittore Maurizio de Giovanni, una vera e propria eccellenza napoletana nonché emblema della creatività partenopea. L’evento, che ha avuto luogo lo scorso 2 luglio in una affollatissima sala del PAN, è stato moderato da Emilia Leonetti, presidente di Vivoanapoli, e successivamente arricchito dagli interventi di Nino Daniele, assessore alla Cultura del Comune di Napoli e Maria Rosaria de Divitiis, presidente del FAI Campania.

Nel corso del dibattito è emerso in modo netto quanto siano distanti e contrapposte le posizioni degli ospiti. Il sociologo, incalzato dalle domande della moderatrice e del pubblico, ha spiegato che occorre distinguere tra una creatività individuale ed una collettiva. Napoli, a suo dire, è carente nella seconda, non esiste, cioè, un obiettivo comune da perseguire e manca una sinergia che sia capace di mettere insieme capacità, intelligenza e conoscenza. Il professore ha individuato proprio in questo problema la causa dell’impossibilità di creare un processo di cambiamento nella nostra città e, a supporto delle proprie affermazioni, ha citato una graduatoria sulla qualità della vita che viene stilata ogni anno da Il Sole 24 ore. Sulla base di trentadue parametri di valutazione, Napoli, che nel 2004 si trovava all’80esima posizione, nel 2013 è scivolata addirittura in fondo alla classifica, in 107esima posizione.

«Un risultato del tutto inaccettabile considerando che Napoli ha sempre ricevuto incentivi, agevolazioni ed è soggetta alle stesse leggi statali cui sono soggette le altre regioni d’Italia. Perché allora, – si chiede De Masiil reddito pro-capite della Campania è la metà della Lombardia? Napoli, come il Cairo ed Atene, è una città in declino lento ma quasi inarrestabile di cui non ha consapevolezza.»

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Durante la discussione, inoltre, sono stati affrontati numerosi argomenti come il fenomeno dell’altissimo tasso di disoccupazione giovanile, o la piaga della violenza negli stadi, il sovraffollamento delle carceri, passando anche per il problema della gestione degli spazi urbani. Tutte tematiche sviluppate in un’ottica di internazionalizzazione e di confronto rispetto ad altre culture e ad altri modi di intendere la creatività. De Masi, a riguardo, è convinto che la creatività dei napoletani, da sola, non permetterebbe loro di produrre ricchezza e si porrebbe, così, come un presupposto necessario, ma non sufficiente, per un rilancio della città. Ha, quindi, individuato nella mancanza di altri due elementi la causa principale del declino partenopeo: la concretezza e il metodo. Solo grazie alla prima è possibile realizzare le idee partorite da una mente fantasiosa, di cui Napoli è madre indiscussa, così come solo attraverso un metodo ben preciso è possibile ottenere determinati risultati e sperare di guadagnare qualche posizione in quella famosa graduatoria.

Alle teorie del professore, che individua dunque nell’infantilismo dei napoletani e nella loro mancanza di “voglia di fare” il problema principale di Napoli, si contrappongono le affermazioni di un personaggio che della creatività ha fatto il suo marchio di fabbrica: Maurizio de Giovanni.

L’autore partenopeo della fortunata serie di romanzi gialli ha smontato pezzo per pezzo le affermazioni del sociologo sottolineando come «Riguardo la percentuale di disoccupazione giovanile, questa è falsata dalla piaga del lavoro nero, quindi non è del tutto attendibile. Il problema – afferma de Giovanniè da riscontrarsi nell’assenza dello Stato all’interno della città. Ci sono pochi controlli, un tasso troppo alto di evasione fiscale, fenomeni corruttivi e concussivi: tutto questo impatta sulle statistiche.»

«Sono stufo – precisa lo scrittore – di sentire critiche verso Napoli da parte di chi non è napoletano. Il nostro orgoglio, che riguarda solo noi, potrà anche mancare, ma se pochi giorni fa in una piazza del Vomero si sono riunite spontaneamente mille persone per la presentazione di un libro, vuol dire che il desiderio dei napoletani è forte. In un quartiere che ha visto chiudere sistematicamente ogni libreria, erano presenti ben mille persone attorno ad un libro: c’è voglia di leggere, c’è voglia di cultura. Questo significherà pur qualcosa?»

La presentazione cui lo scrittore ha fatto riferimento riguardava il suo ultimo lavoro, ma de Giovanni non si è voluto soffermare sui personali successi editoriali, ma ha voluto evidenziare, invece, quanto Napoli e i suoi abitanti siano ancora affamati di cultura e di libri. Sono proprio la cultura e la creatività gli elementi nei quali lo scrittore ha fiducia per poter rilanciare la città ed ha proposto una bellissima iniziativa che meriterebbe sicuramente un approfondimento:

«Mi piacerebbe che oltre a definire Napoli, a parlare di Napoli e a guardarla da lontano, qualcuno si ponesse il problema di farlo dall’interno. Idee pratiche? Mi farebbe piacere se dal Comune e dalla Regione Campania partisse un’attività di organizzazione senza, però, chiedere erogazione di fondi. Tramite un’organizzazione delle risorse culturali si potrebbe istituire un Festival permanente della cultura napoletana in cui ognuno di noi che dalla città prende in termini di ispirazione, linguaggio e sonorità cominciasse anche un po’ a restituire. Se gratuitamente tutti noi, a turno, tramite un sito web dedicato, realizzassimo delle rappresentazioni in cui mettere a disposizione le nostre competenze, potremmo devolvere l’incasso della serata per destinarlo ad una ristrutturazione o alla risoluzione di un problema specifico. Ad esempio una serata potremmo dedicarla alla sistemazione del manto stradale di una specifica Via, o una serata potrebbe servire per ristrutturare un monumento storico e via così. Perchè i napoletani, state certi, parteciperebbero. Ai napoletani sta a cuore la propria città e sono disposti a impegnarsi in prima persona per renderla un luogo migliore.»

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Affrontare una discussione attorno al tema della creatività in una realtà complessa e articolata come Napoli non è un compito facile. Bisogna tenere conto di molteplici variabili e chiamare in causa eventi storici che hanno inevitabilmente condizionato la nostra realtà e la nostra condizione attuale. L’arduo compito di sintetizzare in pochissime parole il problema oggetto del dibattito è stato assolto dal presidente dell’Associazione Vivoanapoli, Emilia Leonetti che, citando anche Raffaele la Capria e Aldo Masullo, afferma:

«Noi pensiamo che lavorare sulla cultura voglia significare riconsiderare la città e costruire intorno alla cultura un ripensamento della città stessa, dei suoi spazi e delle sue attività. I napoletani devono riscoprire l’orgoglio, ma da solo questo non è sufficiente: bisogna anche cambiare mentalità. Dobbiamo smettere di demandare sempre la responsabilità ad altri.»

 

Giorgio Perillo11351435_104603069877777_976804804215203803_n

Giornalista. Laureando in Giurisprudenza. WordPress Specialist e Web Content Manager di Azzurrissimo.it
Fondatore e CEO di menteinformatica.it

 

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