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Scrive Antonio Corbo nel suo ultimo editoriale per Repubblica: “Nella città che ancora venera Maradona, “Yo fue siempre ganador”, io sono l’uomo che vince sempre, svetta una fantastica squadra omogenea nell’anonimato. Una speranza per tutti. Si può vincere nel calcio come nella vita, senza fuoriclasse né scienziati, senza leader né fazioni, senza miti né divi. È il primo che non lascia il ricorso di un campione, ma di una adorabile comunità di gregari. Un gruppo di lavoro che Antonio Conte, nella serialità delle sue vittorie, ha portato al titolo di Campioni d’inverno con 44 punti nelle prime 19 partite, ma che ha saputo rialzare anche dopo qualche sbandata. Solo 35 nelle ultime 18, con la flessione dal pari il 2 febbraio (1-1 con la Roma) allo stesso 1-1 pari di Bologna, 14 aprile. In 7 partite solo 9 punti su 27 disponibili. Altri si sarebbero schiantati. Successo di regole francescane e obbedienza monastica al carismatico Conte come al suo folto team. Culto del silenzio e della disciplina. In una squadra anziana con 7 ultratrentenni. Mai polemiche, come nell’isterismo di altri spogliatoi. Un isolato esempio in anni di inascoltati appelli all’unità in settori anche più delicati, dalla Chiesa alla vita pubblica. Mai un lamento né una protesta per la dura routine. Della sofferenza di 9 infortuni muscolari non si è avuta traccia all’esterno. Anche quando i malanni si sono con perfidia ripresentati in campo, come per Buongiorno e Lobotka. È questo il calcio nuovo dello scudetto 2025. Si comprende l’enfasi di Antonio Conte. Incita la squadra urlando che è solo ad un passo dalla storia”.