Giuntoli con il direttore di Azzurrissimo Luca Perillo
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Cristiano Giuntoli intervistato dal Corriere della Sera. Ecco un estratto.

Il capo dell’area tecnica della Juventus: «Per scegliere un giocatore i numeri non bastano, servono le emozioni. Vlahovic sostituito all’intervallo? È il metodo Motta, nullla di strano. Di Allegri non parlo». 

Quando si dice avere la Juve nel cuore: dal figlio Alessandro, due anni e mezzo e maglietta bianconera d’ordinanza — «Vai alla Giuve? Mi dice quando esco» — a papà Tiziano, che non c’è più ma che c’è sempre: «Era un tifoso fanatico — sorride Cristiano Giuntoli, prima di sollevarsi gli occhiali e stropicciarsi gli occhi — quando avevo otto anni mi portava alle partite, a prendere ombrellate. Certo che ho pensato a lui, quando sono arrivato qui, ci penso e mi commuovo». Qui sarebbe il quartier generale della Continassa, da capo dell’area tecnica, e più in alto c’è solo il cielo: «La Juve è un punto d’arrivo, il massimo». Non è stato facile strapparlo all’allenamento — «Scusate, il campo mi arrapa, un mio pregio e un mio difetto» — ma parla volentieri, affrontando i punti (potenzialmente) meno comodi con ironia da Woody Allen: «Non mento, diciamo che ometto».

Cristiano Giuntoli, la Juve ha il bilancio in rosso ma ha fatto uno shopping di lusso: qual è il trucco?
«Non c’è. Bisogna solo fare i conti, e tener presente la prospettiva di cinque anni. Prima potevi avere un giocatore, faccio un esempio, che guadagnava tredici milioni di euro lordi, ora ne hai uno che hai pagato 10 milioni ma che di stipendio pesa meno di un quinto: alla fine, tra ingaggio e ammortamento, risparmi oltre 30 milioni di euro. E così via, per tante operazioni fatte quest’anno».

Morale?
«Non c’è nessun metodo Giuntoli: dovevamo abbassare il monte ingaggi e l’età media della rosa. E l’abbiamo fatto».

Ecco, qual era il suo idolo?
«Zoff, Cabrini, Scirea… Causio, che è stato un fuoriclasse. E Furino, la mia epoca da tifoso».

Per scegliere un giocatore, fiuto o big data?
«I numeri rappresentano lo storico di un giocatore, ma ho bisogno di sentire l’emozione, di vederlo e capire cosa mi trasmette. Ed è una valutazione imprescindibile alla quale associ tutti i dati che vuoi, ma senza il sentiment non ho il quadro completo della situazione. Ma c’è sempre un margine di rischio quando prendi un calciatore».

Scommesse perse?

«Certo, ci stanno».

Acquisto più complicato?
«Forse Victor (Osimhen, ndr). Ci ho messo quattro mesi per portarlo a Napoli».

E adesso non è più lì.
«Andava forse venduto prima, ma Aurelio (De Laurentiis, ndr) è un imprenditore intelligente e astuto. Gli devo tanto, gli voglio bene».

Thiago Motta corteggiato a lungo, come lo ha convinto?

«È evidente che con il Bologna aveva fatto così bene che non eravamo gli unici ad avere gli occhi su di lui, ne eravamo consapevoli e abbiamo giocato le nostre carte, sposando evidentemente in toto il suo progetto di calcio».

Aveva un piano B?

«Non dico il nome, ma è un allenatore straniero che esercitava ed esercita ancora in Europa».

Un rimpianto?
«Chi non ne ha? Avevamo l’esigenza di fare un buon mercato e mettere i conti in ordine. L’obiettivo era fare una squadra giovane, ma con uno storico che rappresentava la base».

Un nome: Calafiori.

«È un rimpianto per tutto il calcio italiano, non della Juventus. Bisogna interrogarsi sul fatto di non aver avuto la forza di tenere in Italia un giocatore della sua portata. Le grandi squadre hanno preso tutte un difensore, non lui».

Vlahovic sostituito all’intervallo: da tifoso prima e manager dopo cosa ha provato?
«Nel calcio di Thiago succede, nulla di particolare».

Il rinnovo è un problema?
«No, un calciatore come lui con prospettive ancora importanti non può mai essere un problema, il rinnovo è un obiettivo, lo faremo. Un giocatore che vale tanto e guadagna tanto per noi rappresenta un patrimonio».

Chi vince il campionato?
«Presto per dirlo, ma Inter e Napoli sono le favorite. Lo dice la storia, vince sempre la squadra più esperta. L’Inter lo è, il Napoli per il cambio strategia che ha fatto lo è diventata».

E la Juve?
«Abbiamo cambiato tanto, e quando lo fai rischi sempre. Abbiamo modificato completamente il modo di pensare calcio, partiti da zero. Non sappiamo ancora quello che possiamo fare, siamo alla scoperta di noi stessi. Adesso c’è anche la curiosità di capire, vedere cosa facciamo».

Chiesa è rimasto fuori per un po’, per poi essere ceduto: come si gestiscono situazioni come questa?

«Con la chiarezza e la semplicità, con il giocatore e il suo entourage siamo stati sempre molto onesti, tutti insieme abbiamo cercato la soluzione più giusta per il giocatore, che è molto forte e gli auguriamo tutto il bene possibile».

McKennie era anche lui in lista di sbarco.
«No, lui aveva un problema di rinnovo, ma non è mai stato fuori dal progetto».

Cosa ha di speciale Koop?

«Anche questa è stata una trattativa difficile. È speciale nelle giocate, nella tecnica. Un calciatore a testa alta, sa sempre dov’è la palla, sa a chi darla. È uno tosto».

E Thiago perché è unico?
«Ha avuto un grande impatto all’interno della Juve. Modi gentili, carini, con tutti. Lui è un predestinato, molto empatico con la squadra. Ha grandissima personalità. Dà tutto, vive per questo lavoro».

Quante bugie dice?
«Non dico bugie, ometto. Ma in ogni caso, sono bugie bianche. Le dico, ma ne subisco anche. Quando un calciatore ha già deciso di andare altrove e lo nasconde, e me ne accorgo, fingo di credere a quel che dice. Lo capisco».

Incontra Galliani per Di Gregorio e poi dice che vi eravate visti per altro.
«Giuro, ci eravamo visti per altro. Anche!».

Il rapporto con Allegri?

«Mi spiace, di questo non parlo».